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PASTE DELL'UMBRIA

Aggiornamento: 1 lug 2020

Il capitano di ventura Paolo Vitelli ordina che gli venga servito del buon cibo, pena la morte di tutti i presenti: è il 1494, durante un rigido inverno nel castello di Vetranola (Monteleone di Spoleto). Alla minaccia di trascinare i locali con i cavalli per le strade del paese, la cucina del fortilizio somministra al condottiero una grande quantità di penchi [1], lavorando l'impasto con l'aggiunta di uova (fino ad allora quasi mai impiegate per questo tipo di alimenti), condendo il tutto con pecorino, salsicce e agresto [2]. Felice del risultato improvvisato ma assolutamente delizioso, il mercenario abbandona le terre per dirigersi a Sud senza colpo ferire. Evitata la tragedia, la pasta prende il nome di strascinati, a ricordo di questo evento. Questo è solo un esempio documentato della grande importanza di un alimento come la pasta per il territorio umbro. Riscoprire le ricette dimenticate della tradizione non è solo un'occasione di valorizzare il patrimonio gastronomico italiano, ma una vera e propria chiave di lettura per interpretare i costumi dei popoli antichi, soprattutto quelli che abitarono l'Umbria in tempi remoti. La Regione, oltre a numerosi altri pregi in ambito alimentare, vanta il maggior numero di tipologie di pasta per comune tra molte delle regioni del Paese: i blòblò a Perugia, le ciriole a Terni, gli strangozzi a Spoleto e numerosi altri esempi e varianti, come i maccheroni, le fregnacce o gli gnocchi acqua e farina. Piatti che raccontano una storia ricca di informazioni commerciali e culturali fortemente radicate nel Medioevo, periodo in cui le vie commerciali pullulavano di etnie e merci esotiche provenienti dagli angoli più remoti del mondo antico. Se l'indagine si volesse poi intensificare, basta prendere in esempio i famigerati maccheroni dolci, serviti durante il periodo di Ognissanti: un alimento consumato tradizionalmente dagli Etruschi e il cui nome è stato assodato durante la dominazione bizantina sulle città umbre del Corridoio [3]. Infatti μακαρώνεια (makaròneia), da cui makarònia, ossia «canto funebre» (sec. XIII, Giacomo di Bulgaria), che sarebbe passato a significare «pasto del funerale» (e quindi di pietanza da servire durante questa funzione), è il naturale significato di questo piatto, originariamente consumato in occasione della dipartita di un familiare, realizzati in forma di nastri di acqua e farina con l'aggiunta di miele, frutta secca e spezie, poi riccamente adornati dall' Alchermes [4] nel Rinascimento di molte zone dell' Umbria. Una fusione di diverse culture nel tempo che portano ad una pietanza straordinaria, così come per i blòblò alla peroscina, uno dei piatti più consumati del Medioevo nella città di Perugia: essi possono essere considerati la versione salata dei maccheroni dolci. Il loro uso è completamente svanito, ma grazie alla ricerca e alla tradizione orale, è ancora possibile realizzare questo piatto nella sua versione trecentesca; una pietanza ricca e completa di nutrienti, ideale per la primavera.


[1]pasta tradizionale della Val Nerina e della Val Castoriana.

[2]succo d'uva acerbo, sostituto dell'aceto nel Medioevo.

[3] circoscrizione amministrativa dell'Impero Bizantino nei secoli VI-VIII.

[4] da al-qirmizi, cioè cremisi, spirito e colorante speziato proveniente dal vicino Oriente.

[5] Peroscia è il nome di Perugia nei secoli XIII-XVII.


 
BLÒBLÒ

INGREDIENTI


-450g farina 0 biologica

-225g acqua calda

-500ml brodo di carne o vegetale

-100g guanciale

-20g menta

-20g salvia

-1 spicchio d'aglio

-1 cucchiaio d'aceto o agresto

-sale, pepe e cannella a piacimento

-1/2 cipolla

-1 carota

 

Versare l'acqua molto calda nella farina e lavorare fino ad ottenere un composto liscio ed omogeneo; coprire con la pellicola e lasciar riposare per 10 minuti. Stendere una sfoglia alta 2mm e tagliare i blòblò della medesima larghezza, ottenendo una pasta simile ai capelli d'angelo, ma un po' più consistente e spessa. Preparare il guanciale tagliandolo a listarelle sottili e cuocendolo fino a farlo diventare croccante, poi toglierlo e cuocere nel suo grasso l'aglio, la cipolla e le carote, assicurandosi che tutto sia finemente tritato. Quando il composto sarà più denso, aggiungere la salvia e il brodo e ridurre per 5 minuti. Ora, aggiungere i blòblò. A cottura della pasta (2-3 minuti), aggiungere un cucchiaio d'aceto o agresto, regolare di sale e infine spolverare con pepe e cannella a piacimento. Servire il piatto cospargendo con foglie di menta tritate e pecorino grattugiato. N.B. l'amido della pasta creerà una fitta e densa crema che intrappolerà le bolle d'aria, generando il caratteristico rumore che dà il nome a questo piatto (blò...blò...).


Giovanni Pedercini - Cuoco

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